Alla ricerca della perfezione impossibile

Vincere e non vincere…

Vincere e non vincere… un bel problema!

Solitamente si dice: “l’importante è partecipare!”
Ma quante volte ci capita di restarci male se nostro figlio o nostra figlia non vincono il torneo di calcio piuttosto che la gara di nuoto?
In quelle occasioni, per chi siamo dispiaciuti? Per loro o per noi?

All’inizio tutto è un gioco e noi, tra mille altri impegni, li accompagniamo agli allenamenti.
Man mano che passa il tempo ci sentiamo sempre più coinvolti e qualcosa comincia a cambiare.
È come se i successi e gli insuccessi sportivi dei nostri figli assumessero per noi un significato che rischia di andare oltre la condivisione del loro piacere o dispiacere.

Dal diario di un papà

Paolo, mio figlio, gioca da due anni in una squadra di calcio amatoriale.
All’inizio era proprio impacciato, però vedevo che ci teneva e allora mi faceva piacere portarlo agli allenamenti.
Iniziava a confrontarsi con i coetanei, erano continue sfide… Quest’anno, inaspettatamente, la sua squadra ha vinto un po’ di partite e quindi si è aperta la speranza di arrivare in finale.
Questa possibilità ha iniziato a coinvolgermi, anche perché anch’io da ragazzo giocavo a calcio, ai giardini, con gli amici.
La scorsa domenica, come di consueto, l’ho accompagnato alla partita dei terzi di finale.
Ero elettrizzato e in auto intonavamo le solite canzoncine propiziatorie… con relativi gesti decisamente da stadio… mi divertiva molto.
Eravamo carichi!! La partita è iniziata alla grande, ma nel secondo tempo la situazione è degenerata.
La squadra di mio figlio non riusciva più a prendere una palla!
Io a bordo campo stavo sputando le tonsille per quanto urlavo… dietro le transenne mi agitavo come un puma in gabbia.
Mi sgolavo quasi fosse stata la finale dei mondiali di calcio: ero furente!
Alla fine, come già si poteva intuire, la squadra di mio figlio ha perso.
Il viaggio di ritorno in auto è stato una tragedia.
Io ero ancora nervoso e ho cominciato a dire a Paolo cosa non era andato bene, elencavo i suoi errori e quelli di tutti i compagni di squadra: volevo che capisse dove avevano sbagliato perché imparassero!
Lui non diceva nulla, aveva un muso lungo fino a terra.
Questo suo silenzio mi innervosiva ancora di più e poi, a un certo punto, Paolo è scoppiato a piangere.
Non me l’aspettavo.
Dopo un primo momento di sorpresa, sono ritornato in me e mi si è stretto il cuore: come un cretino non avevo pensato che lui fosse già dispiaciuto di suo, per il fatto di aver perso, senza che mi aggiungessi anch’io ad aggravare la situazione.
Cercavo di sdrammatizzare facendo battute divertenti, ma lui era a pezzi.
Oltre a tutto il resto, era mortificato perché pensava di avermi deluso… Ma non era vero!
Non sapevo più come dirglielo, mi ero infervorato perché mi ero fatto prendere dalla partita, non perché lui mi avesse deluso.
Fortunatamente, dopo aver fatto innumerevoli giri del quartiere, per cercare di consolare Paolo prima di tornare a casa, alla fine siamo riusciti a parlarci…

Le nostre emozioni

  • Ero eccitato all’idea che lui vincesse… volevo sentirmi vincitore.
  • Ero arrabbiato con lui e con tutta la squadra come se stessi giocando io quella partita.
  • La loro sconfitta era la “mia sconfitta”.
  • Non mi è facile accettare gli errori di mio figlio.
  • Vorrei che prendesse più sul serio questo gioco.
  • Per mio figlio desidero solo successi.

Siccome i nostri figli sono la “nostra immagine” nel mondo è facile cadere in una “appropriazione indebita” della loro vita.
Dobbiamo cercare di essere molto attenti a non fare confusione di persona, lasciando a loro il diritto di fare esperienza e tenendoci la nostra come serbatoio a cui loro, se vorranno, potranno attingere.

Che cosa fare?

  • Il suo pianto mi ha aiutato a risvegliarmi.
  • Mi sono reso conto di quanto soffrisse.
  • Non era la sconfitta a farlo sentire inadeguato quanto le mie parole.
  • È stato naturale recuperare i ricordi di come mi sentivo di fronte alle mie sconfitte e di che cosa sentivo il bisogno in quei momenti.
  • Ho sentito come posso essergli vicino, davvero, quando affronta una sfida.
  • È importante che io, per primo, recuperi il vero significato che ha il partecipare a un gioco!

L’attività sportiva può essere per i nostri figli non solo una possibilità di genuino piacere, ma anche un modo per prendere confidenza con un corpo che sta cambiando e che spesso si sviluppa in maniera disomogenea.
Crescono improvvisamente, si sentono impacciati, si muovono in maniera scoordinata, e queste trasformazioni provocano un forte disorientamento.
Sperimentarsi in un contesto sportivo tra pari, permette di apprendere come controllare propri movimenti, di regolare l’aggressività e riconoscere le proprie capacità, aiutandoli a uscire da quella forte sensazione di inadeguatezza che sperimentano in questo periodo.
Ecco perché è fondamentale che non si sentano giudicati da noi sulle loro prestazioni sportive e che la nostra voglia di vincere non si appoggi sulle loro spalle come un ulteriore fardello da portare in campo.